Sedici giorni a bordo della stessa nave
Insegnare non è guidare: è navigare insieme
Cari amici lettori,
spero abbiate trascorso un Natale sereno, ricco di amore e di momenti condivisi con le persone a voi più care. Come ormai da tradizione, essendo questo l’ultimo sabato del mese di dicembre, l’articolo che segue è dedicato al racconto di una mia esperienza personale. Si tratta di un appuntamento a cui tengo molto, simile a un articolo già pubblicato nel 2023, che vi lascio qui sotto nel caso qualcuno non lo avesse ancora letto. (Un'esperienza formativa che lascia il segno: il mio addio ai ragazzi speciali)
Negli anni questo momento è diventato per me un vero e proprio rituale, anche perché rappresenta un’occasione per fermarmi, guardarmi indietro e riflettere sul percorso fatto. In particolare, quest’anno assume un valore speciale: la conferma come docente per la formazione dei ragazzi, con l’obiettivo di accompagnarli e prepararli al mondo dello spettacolo e del turismo, è per me un grande onore.
Desidero quindi ringraziare di cuore tutte le persone che hanno riposto in me una fiducia così grande: è grazie a loro se posso continuare a crescere, condividere e credere in questo percorso.
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L’inizio
Tutto ebbe inizio un po’ per caso. Lo racconto brevemente.
Mi trovavo in una struttura dove ero stato chiamato a realizzare uno show; una realtà che, oltre all’organizzazione di feste di compleanno per bambini, si occupava e si occupa tuttora di numerose attività educative e ricreative rivolte ai più giovani… e non solo.
Tra queste attività rientrava anche la formazione e l’istruzione dei ragazzi, e proprio lì venni scelto come docente per il percorso di “Tecniche sociali di animazione turistica”. Era il 2023 e, come accennato in precedenza, non avevo mai avuto esperienze come insegnante. Nonostante questo, quell’occasione segnò l’inizio di un percorso che non avrei mai immaginato.
Quest’anno, però, tutto era diverso. Davanti a me avevo otto persone già inserite nel settore, professionisti che conoscevano bene gli argomenti che avremmo affrontato. Proprio per questo motivo ho deciso di strutturare un percorso formativo più elevato e avanzato, con la speranza e l’intento di lasciare loro un bagaglio di informazioni di grande valore. Mi auguro, con tutto me stesso, di esserci riuscito.
A rendere l’esperienza ancora più intensa c’era un altro fattore: a differenza del 2023, quando la classe era composta da dieci ragazzi speciali e miei coetanei, quest’anno mi sono trovato di fronte a persone con anche vent’anni più di me. Potete immaginare quanta pressione e quanta ansia questo abbia generato in me. Erano persone che, senza dubbio, avrebbero potuto insegnare molto anche a me, e non il contrario.
Mi attendevano sedici intense giornate di formazione e il programma fornito dalla Regione non era affatto una passeggiata: argomenti altamente teorici, processi psicologici complessi e termini quasi impronunciabili. Ma è proprio qui che si misura la vera capacità di un docente: saper spiegare concetti complessi rendendoli semplici, chiari e comprensibili… persino per un bambino di dieci anni.
Il primo giorno
Come accade in uno show, quando la prima cosa da fare è rompere il ghiaccio con il pubblico, il mio primo gesto fu simbolico ma fondamentale: rimossi la scrivania e presi un banco, lo stesso identico che avevano i ragazzi. Sentivo che, per comunicare davvero con loro, dovevo mettermi alla loro stessa altezza, occupare la loro stessa posizione, sintonizzarmi sulla stessa frequenza. Questo, anche a livello psicologico, avrebbe creato uno spazio più aperto e autentico: volevo che si sentissero liberi di interrompermi, di chiedere chiarimenti, di esprimere dubbi o perplessità senza timori, senza freni e senza il peso dei ruoli.
Desideravo che capissero fin da subito che, in quelle giornate, il confronto era più importante dell’autorità. Per questo la seconda cosa che feci fu presentarmi semplicemente per quello che ero: dissi il mio nome e cognome, ma specificai senza mezzi termini che non ero un docente. Ero semplicemente Samuele.
Spiegai loro che non ero lì per loro, ma con loro. Eravamo saliti insieme a bordo di una grande nave e stavamo per intraprendere un breve viaggio di sedici giorni. Un viaggio in cui, in qualsiasi momento, avrebbero potuto chiedermi qualsiasi cosa. Perché chi naviga in mare aperto lo sa: non tutte le giornate sono calme, non sempre il viaggio procede con il mare piatto e il vento a favore.
Dissi loro che io mi sarei messo al timone, non perché fossi migliore, ma semplicemente perché avevo già attraversato molte tempeste, vissuto situazioni scomode e affrontato errori che lasciano il segno. Preferivo prendermi io i rischi piuttosto che scaricare su di loro il peso della responsabilità. Il mio compito era guidare, proteggere e condividere esperienza.
Ma chiarì anche un’altra cosa fondamentale: alla fine di quel viaggio, ognuno di loro avrebbe avuto la propria nave. E sarebbero stati loro al timone. Io avrei donato tutto ciò che avevo imparato, affinché potessero riconoscere una tempesta prima ancora che arrivasse e affrontarla con gli strumenti giusti. E se qualche onda li avesse comunque colpiti, ne sarebbero usciti illesi… magari con qualche graffio. Segni leggeri, destinati a restare non come ferite, ma come storie da raccontare un giorno. Proprio come stavo facendo io con loro.
Le lezioni
Le giornate iniziavano presto: alle 8.30 eravamo già tutti in classe, pronti ad affrontare un nuovo argomento. Che fosse leggero o particolarmente impegnativo, ho sempre cercato di trasformare ogni lezione in una vera e propria lezione-show. Sapevo quanto fosse importante portare leggerezza, non solo per arrivare alla fine della giornata, ma per sostenere l’energia e l’entusiasmo lungo tutte le sedici giornate che avremmo condiviso.
Essendo un performer, non potevo limitarmi alla sola teoria. Ho voluto arricchire ogni incontro con aneddoti, dimostrazioni pratiche e la visione di video significativi: alcuni legati direttamente alla mia esperienza personale, altri capaci di rendere concreta una realtà che, fino a quel momento, stavamo osservando solo attraverso parole scritte nero su bianco.
Non ho mai amato parlare senza dimostrare. Spiegare è fondamentale, certo, ma per me è altrettanto importante mostrare con i fatti ciò che le parole raccontano. Sentivo il dovere di farli credere ad occhi aperti in quello che stavo condividendo con loro. Non volevo essere un guru perché parlare, in fondo, siamo tutti bravi ma qualcuno capace di dimostrare, di rendere reale ciò che raccontava.
Alcuni di loro mi conoscevano già, sapevano chi ero e cosa facevo nella mia vita, e questo senza dubbio mi ha aiutato. Ma ciò che ha fatto davvero la differenza è stata la loro bontà d’animo, la fiducia che mi hanno concesso fin dal primo giorno, donandomi il loro tempo e la loro massima attenzione. Non posso dire che non fossero interessati a ciò che dicevo, anzi: le domande non sono mai mancate, alimentate da quella curiosità che l’essere umano possiede per natura. Rispondere in modo chiaro ed esaustivo mi ha gratificato profondamente, facendomi sentire felice di poter condividere sempre qualcosa in più con loro.
Durante le lezioni non sono mancati momenti pratici, indispensabili per mettere in atto tutto ciò che avevamo studiato, così come non sono mancate le mie performance, che hanno regalato attimi di leggerezza, stupore e meraviglia. Tutto questo lo facevo con estremo piacere. Era evidente quanto ragazzi e ragazze si lasciassero trasportare non solo dalla mia persona, ma anche dal fascino senza tempo della magia.
Ed è stato proprio questo a gratificarmi più di ogni altra cosa: incontrare persone con un cuore così grande, aperto e pieno d’amore non è affatto scontato. E io ne sono profondamente grato.
Il lato opposto
Iniziai quasi per gioco. Nel 2018 misi per la prima volta piede nel mondo dell’animazione come si entra in mare senza sapere nuotare: ero uno dei tanti, un volto tra molti, trascinato dalle correnti. Ricordo ancora le prime settimane di quell’avventura… passate a disperarmi, sentendomi un pesce fuor d’acqua, fuori posto, fuori ritmo. Ogni sorriso sembrava una lingua che non parlavo ancora. Non sapevo se quel percorso fosse davvero il mio.
Eppure, giorno dopo giorno, qualcosa dentro di me cambiò.
Come una pietra levigata dal mare, iniziai a prendere forma. Il tempo passava e, insieme a lui, cresceva la mia capacità di farmi valere. Da semplice animatore arrivai a conquistare le mie serate show nei resort più prestigiosi della Puglia, fino a entrare nel cast artistico. Non ero più “uno dei tanti”: avevo trovato la mia voce, il mio spazio, la mia luce. Ero diventato un professionista riconosciuto.
Oggi quella realtà l’ho lasciata… o forse sarebbe più giusto dire che la osservo dall’altro lato dello specchio.
La mia magia, d’estate, torna comunque in quei luoghi: entro da esterno, come ospite speciale. Chi è in vacanza percepisce la mia presenza come un valore aggiunto, e con quell’aspettativa cresce anche il peso della responsabilità. Ma è un peso diverso: non schiaccia, forgia. È il peso di chi sa di avere qualcosa da donare, e lo porta con orgoglio.
La vera magia, però, è un’altra.
Oggi tengo masterclass per chi sente il richiamo di questo percorso nelle strutture turistiche. In quell’ambiente qualcuno mi vede come un maestro, un professore, un mentore… ma dentro resto semplicemente Samuele. E per chi ama di più il mio lato artistico, resto Kid: il personaggio che interpreto, non qualcuno arrivato, ma qualcuno che sta ancora camminando.
Quest’anno, dopo la prima esperienza di due anni fa, è ripartito il mio corso sull’animazione turistica, sulla comunicazione efficace e sulla lettura del corpo attraverso la PNL (Programmazione Neuro-Linguistica). Non mi sento “colui che insegna dall’alto”, ma una persona che condivide ciò che ha imparato sul campo, spesso sbagliando, sempre ascoltando.
Non trasmetto solo tecniche: provo a creare uno spazio sicuro in cui leggere le persone, sentire l’energia di una stanza, trasformare l’imbarazzo in presenza. Perché prima di essere formatori, artisti o professionisti, siamo esseri umani che stanno ancora imparando a stare al mondo.
Se qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei fatto tutto questo, non ci avrei mai creduto.
E invece eccomi qui, a trasmettere un’arte misteriosa e potente a ragazzi che hanno scelto di mettere al primo posto il sorriso degli altri. Persone che hanno deciso consapevolmente di essere luce, anche quando il palco è buio.
Perché far sorridere il prossimo non è un lavoro qualunque: è una scelta.
È una responsabilità.
È una forma d’amore.
E questa, credimi, è la magia più grande di tutte.
Conclusione
Quest’articolo si conclude qui. Sentivo il bisogno profondo di raccontare quest’ultima esperienza, di darle voce e spazio. Chiedo scusa se non ho menzionato i nomi dei ragazzi che ne hanno fatto parte, ma questo è uno spazio pubblico e per me è fondamentale tutelare la loro privacy.
Tuttavia, se tu che stai leggendo sei stato uno di quei ragazzi che ha viaggiato per sedici giorni sulla mia nave, voglio che tu sappia una cosa: ti ringrazio dal profondo del cuore. Tu, insieme ai tuoi compagni di viaggio, mi avete insegnato molto più di quanto possiate immaginare. I vostri insegnamenti li custodisco come si custodisce una bussola preziosa: con rispetto, gratitudine e stima. Continuerò a parlare di voi in altre esperienze formative, prendendovi come esempio, tracciando rotte già collaudate e sicure, affinché chi verrà dopo possa navigare con maggiore consapevolezza e arrivare a destinazione.
Ho scelto di condividere tutto questo anche per motivare chi, come me, ha deciso di intraprendere una strada diversa da quella “normale”. Lo dicevo spesso ai miei ragazzi e lo ripeto qui: non è importante cosa fate, ma come lo fate. Le persone non si innamorano delle vostre abilità tecniche, ma del vostro essere, del vostro modo di stare al mondo. È questo che crea legami, è questo che imprime emozioni nella memoria di chi vi incontra.
In un ambito professionale in cui qualcuno vi paga per condividere il vostro tempo, la vostra presenza, la vostra energia, se saprete farvi amare per ciò che siete e per ciò che lasciate nel cuore e nella mente di chi vi guarda, non avrete mai rivali. Perché ricordate: ognuno di voi è unico. Non esistono cloni, non esistono copie perfette.
Affrontate il vostro percorso con i piedi ben piantati a terra. Volare in alto è facile, ma cadere da grandi altezze fa male. E rialzarsi, a volte, non è affatto scontato. Camminate con umiltà, sognate in grande, ma non dimenticate mai chi siete e da dove siete partiti. È lì che nasce la vera forza.
Vi saluto e vi ringrazio sinceramente per il tempo che mi avete dedicato. Il nostro prossimo appuntamento è sabato prossimo: non mancate!
Con affetto e stima.
-KID-
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